Il farmaco del futuro passa da un algoritmo
Negli Stati Uniti, l’approvazione di un farmaco può richiedere fino a 10 anni e miliardi di dollari. L’AI promette di rivoluzionare questo processo riducendo tempi, rischi e costi. A quali condizioni?
Negli Stati Uniti possono servire anche dieci anni perché un nuovo farmaco arrivi sul mercato, dalle prime fasi di sperimentazione. È un periodo lungo, straordinariamente lungo, se si pensa che stiamo parlando della salute degli uomini. «E allora perché non proviamo a cambiare le cose?», si è chiesto Martin Makary, che è commissario per la Fda, la Food and Drug Administration, l’agenzia federale statunitense che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici.
L’idea è di integrare l’intelligenza artificiale in questo lungo processo, per riuscire a snellire le procedure e arrivare a un’approvazione più rapida. È un aspetto ancora più interessante, visto che in futuro le nuove frontiere della ricerca potrebbero aprire a nuovi medicinali, sempre più personalizzati. Ma per arrivarci occorre garantire una maggiore efficienza, che possa ridurre il tempo di sperimentazione, senza compromettere la sicurezza dei pazienti.
Secondo Wired, che cita fonti coinvolte nella discussione, ci sarebbe stato un incontro fra Fda e OpenAi (la casa madre di ChatGpt) proprio per discutere di questo tema. Al momento, il confronto è ancora alle fasi iniziali. Ma la notizia non sorprende troppo gli addetti ai lavori, visto che è in corso da tempo una discussione specialistica su come le tecnologie possano essere integrate nella farmaceutica. Ci sono però due grossi scogli, da non sottovalutare.
Il primo è quello a cui abbiamo già accennato: un errore in un settore così delicato può avere conseguenze gravissime. C’è poi un tema di disponibilità e di sicurezza dei dati, compresi quelli che servirebbero eventualmente per addestrare nuovi modelli di intelligenza artificiale.
Come spesso accade, la direzione da prendere è piuttosto chiara. Come arrivarci è invece un po’ più complesso, ed è un tema che riguarda le case farmaceutiche, gli enti regolatori, indirettamente gli utenti, e più direttamente la politica.
Abbassare i prezzi
E che l’accessibilità ai farmaci sia comunque un tema di straordinaria attualità lo fa capire anche un’altra notizia, condivisa nei giorni scorsi. Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha firmato un ordine esecutivo per ridurre significativamente i prezzi dei farmaci da prescrizione negli Stati Uniti.
Le case farmaceutiche dovranno adeguare i prezzi dei medicinali a quelli più bassi applicati in altri Paesi sviluppati, secondo il principio della “nazione più favorita”. In caso contrario, l’amministrazione valuterà misure alternative, come l’importazione di farmaci dall’estero o l’imposizione di tariffe. L’obiettivo è ottenere riduzioni di prezzo che, secondo Trump, potrebbero arrivare fino al 90%.
L’industria di settore si è ovviamente opposta a un provvedimento che potrebbe, fra l’altro, ridurre la possibilità di investimenti nella ricerca e nello sviluppo di nuovi farmaci. Secondo John Crowley, amministratore delegato di BIO (il principale gruppo di rappresentanza dell’industria biotecnologica negli Stati Uniti), il rischio è di sfavorire soprattutto le piccole e medie aziende biotecnologiche americane.
Inoltre, anche dal punto di vista pratico non è facile applicare questo principio. Fare riferimento ai prezzi di altri Paesi è complicato, perché molti farmaci venduti negli Stati Uniti non sono disponibili all’estero.
Un tema attuale
Insomma, la proposta di Trump si scontra con una serie di resistenze e di problemi pratici, ma non nasce dal nulla. Intercetta un sentimento popolare molto diffuso e che riguarda l’accesso alle terapie. Anche l’amministrazione Biden aveva cercato di intervenire, anche se in modo meno drastico.
All’interno dell’Inflation Reduction Act era per esempio prevista la possibilità che Medicare, il programma di assicurazione sanitaria pubblico degli Stati Uniti, negoziasse direttamente il prezzo di alcuni farmaci. Inoltre, era stato posto un tetto al prezzo dell’insulina e imposta la gratuità dei vaccini obbligatori.
Il tema di come l’innovazione possa intervenire in questo contesto è dunque di straordinaria attualità. Dalla possibilità di rendere i processi più efficienti, a quella più affascinante di progettare nuove molecole attraverso l’intelligenza artificiale: come detto, tutto si scontra però con problemi e sfide che non possono essere sottovalutati.
Problemi e possibilità
Silvia Ondategui-Parra, Managing Partner e Global Life Sciences Leader in BIP, ha spiegato che ci sono quattro ostacoli principali che l’AI deve superare per integrarsi pienamente nel settore farmaceutico:
Deficit di fiducia: c’è una certa riluttanza a delegare decisioni critiche agli algoritmi in contesti clinici, medici e normativi, soprattutto quando l’intelligenza artificiale viene percepita come opaca (ed è quindi anche un aspetto di cultura digitale);
Gap di competenze: molti professionisti temono che delegando troppo all’intelligenza artificiale possano essere sostituiti, e non considerano che invece proprio una migliore conoscenza degli algoritmi li potrebbe rendere più competitivi;
Caos nei dati: c’è un problema di disponibilità di dati strutturati, armonizzati e sicuri che sono fondamentali per l’integrazione dei modelli;
Normative più severe: la FDA ha già pubblicato le prime linee guida preliminari sulla governance dell’intelligenza artificiale, mentre il regolamento europeo sul tema entrerà in vigore in agosto.
Eppure, l’intelligenza artificiale ha già un ruolo fondamentale nel settore e non accorgersene sarebbe come camminare in una via piena di luce, decidendo di bendarsi gli occhi. Nel 2024 il Nobel per la chimica è stato vinto da Demis Hassabis, co-fondatore di Google DeepMind, proprio per l’uso innovativo dell’intelligenza artificiale nella medicina.
Nuove frontiere
Molte aziende farmaceutiche stanno già utilizzando l’intelligenza artificiale soprattutto per per ottimizzare processi interni, come l’accesso più rapido alla letteratura scientifica, la gestione documentale e il supporto decisionale attraverso appositi modelli. In molti casi, le aziende hanno a disposizione delle loro versioni personalizzate di ChatGPT.
Ma l’intelligenza artificiale è anche in grado creare “pazienti virtuali” per potenziare i modelli e simulare sperimentazioni prima delle fasi cliniche vere e proprie. Si tratta di rappresentazioni sintetiche basate su dati reali, ma anonimizzati e aggregati, che consentono di testare l’efficacia e la sicurezza di un farmaco su diverse tipologie di profili. Questi modelli possono dunque aiutare a validare un’ipotesi scientifica senza la necessità di reclutare pazienti reali nelle primissime fasi, con un duplice vantaggio: velocizzare i tempi e ridurre i rischi.
Infine, la tecnologia permetterà di costruire i farmaci del futuro, in una prospettiva di hyper-personalizzazione dell’esperienza sanitaria. Forse non sarà mai possibile costruire dei medicinali su misura per ogni individuo, ma lo si potrà almeno fare per gruppi omogenei di pazienti.
La medicina del futuro non sarà solo più veloce, ma anche più vicina al paziente. L’intelligenza artificiale non sostituirà la scienza, ma la potenzierà, aprendo la strada a terapie più mirate, accessibili e sicure.
A questo post ha contribuito Gabriele Oliva, Director BIP xTech.
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L’Intelligenza Artificiale per debellare la malaria
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Jaguar resta in UK: smentito lo spostamento negli Stati Uniti
A seguito dell’imposizione dei dazi, numerosi brand sono alle prese con decisioni legate allo spostamento delle produzioni per evitare di incappare in capitoli di spesa ingenti. A dichiarare apertamente la propria posizione è Jaguar, come riportato dalla BBC. Inoltre, in linea con altri produttori come Stellantis e Mercedes-Benz, al momento non vengono rilasciate previsioni sui profitti proprio a causa dell’altalenante posizione statunitense.
Il documentario prodotto dalla rivista statunitense American Pharmaceutical Review illustra tutti i nuovi processi che ci sono dietro la ricerca e la progettazione di un nuovo farmaco dopo l’implementazione di alte tecnologie lungo tutta la filiera.
La nostra parola per questo post è Pazienti Virtuali
Pazienti virtuali è un’espressione che indica modelli digitali di esseri umani, creati a partire da dati clinici reali ma anonimizzati, utilizzati per simulare le reazioni a farmaci e terapie in fase preclinica. Queste simulazioni rappresentano un’evoluzione cruciale per la ricerca medica, in quanto permettono di testare l’efficacia e la sicurezza dei trattamenti senza coinvolgere direttamente soggetti reali nelle prime fasi di sperimentazione.
Attraverso l’intelligenza artificiale e modelli predittivi avanzati, i pazienti virtuali sono in grado di replicare condizioni biologiche complesse e di adattarsi a diversi profili clinici, come ad esempio età, comorbidità o predisposizioni genetiche. La loro introduzione consente di ridurre i tempi di sviluppo dei farmaci, abbattere i costi iniziali e minimizzare i rischi, ottimizzando al contempo la selezione delle terapie più promettenti.
Questa tecnologia si inserisce nella prospettiva di una medicina sempre più personalizzata, in grado di anticipare i risultati clinici e di affinare i protocolli terapeutici. Sebbene non possa sostituire gli studi su pazienti reali, il paziente virtuale è destinato a diventare un alleato strategico per accelerare l’innovazione farmaceutica e migliorare l’accessibilità alle cure in modo più rapido, sicuro e mirato.
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